Max Fox o le relazioni pericolose

max foxSergio Luzzatto, storico serio e unanimemente apprezzato, ha scelto di dedicarsi, per un paio d’anni, alla scrittura di un libro che non è un testo “di storia”.

Max Fox o le relazioni pericolose racconta la vita di Massimo Marino De Caro, ispirandosi dichiaratamente ad alcuni saggi “giornalistici” come L’avversarioLimonovIl Regno di Emmanuel Carrère, o L’impostore di Javier Cercas.

La trama è quindi la vita stessa di un personaggio border line: falsario e bibliofilo, che arriva nel 2011 ad essere nominato direttore di una delle più importanti biblioteche d’Italia, quella dei “Girolamini” a Napoli, e in pochi mesi la saccheggia portando via, per collezionare, regalare e rivendere, migliaia di preziosi volumi antichi.

Il libro, che ho trovato decisamente ben scritto e interessante dall’inizio alla fine, è costellato di dubbi dell’autore sul metodo che sta applicando per scriverlo, così diverso dal “metodo storico” che è solito applicare. Le domande che si pone Luzzatto sono sulla possibilità stessa di fare “storia del presente”, di potere effettivamente verificare fino in fondo quanto di vero e di falso ci sia nella narrazione, che deriva sostanzialmente, soprattutto per il periodo precedente all’arresto di Massimo De Caro, nel 2012, dalle chiacchierate, quasi tutte su Skype, dell’autore del libro con il reo confesso.

Tomaso Montanari, storico dell’arte e “protagonista” della vicenda (è stato lui nel 2012 a denunciare con un pezzo sul Fatto Quotidiano lo scandalo, innescando l’inchiesta della magistratura), più volte citato nel libro, ha scritto un articolo profondamente critico sull’opera di Luzzatto, addirittura ritenendo una scelta sbagliata dell’editore, Einaudi, quella di pubblicarla. L’articolo di Montanari è finito anche in un intervento al Senato.

Il giorno dopo gli ha risposto sul Foglio Giuliano Ferrara, contrapponendo la curiositas del “mite giacobino” Luzzatto al fanatismo del “giacobino furioso” Montanari.

Leggendo “Max Fox” dopo questa diatriba intellettuale, la mia impressione è che Montanari non abbia tutti i torti. Luzzatto non si sforza abbastanza, deliberatamente, di avere fonti alternative sulla storia che racconta. Prima del 2012, la biografia di De Caro è quasi completamente lasciata alla voce dello stesso protagonista, pur intervallata dai dubbi dello scrittore. Dopo l’arresto, le fonti di verifica usate sono solamente gli atti giudiziari e gli articoli di giornale sulle inchieste, in parte in corso, sulle malefatte di “Max Fox”. Non ho letto Cercas, ma Carrère sì, e mi pare proprio che – oltre al problematico epistolario dello scrittore con il pluriomicida Jean-Claude Romand – L’avversario si basi anche  sulla presenza di Carrère nelle aule processuali e su altre testimonianze dirette di amici dell’assassino. Perché Luzzatto non ha parlato con la moglie di Massimo De Caro? O con i veri “eroi” della vicenda della biblioteca napoletana (così li definisce Montanari), ovvero gli impiegati che hanno contribuito a fermare il saccheggio della biblioteca, dove effettivamente sembra che Luzzatto non abbia mai messo piede?

Non mi è piaciuta del libro nemmeno la chiave interpretativa “generazionale”, che prende spunto dal libro di qualche anno fa, Generazione Bim Bum Bam, e che trovo sostanzialmente fuori luogo. Anche se va riconosciuto a Luzzatto che non pare convinto del tutto di questa linea di lettura della vita di Massimo De Caro, classe 1973. Come Montanari. Come me.

Detto ciò, Luzzatto riesce a raccontare il “male” in modo problematico, non nascondendo il suo lato “affascinante”, riesce quindi a essere, più che scrittore, lettore insieme al lettore: in questo sì, avvicinandosi allo stile di Carrère. Dire che Luzzatto faccia un’apologia del criminale, come fa Montanari, è decisamente troppo. Non è vero. Leggete il libro. Ne vale la pena.

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