Parasite

“Parasite” è un gran bel film. Diverte e non annoia neanche per un secondo, inquieta e regala tanti spunti di riflessione. Alcuni li trascrivo qui. Non faccio molti spoiler, ma consiglio comunque di leggere queste considerazioni (e eventualmente commentarle) solo dopo avere visto il film.

E’ tutta una grande metafora

Lo dice Ki-woo, il giovane della famiglia Kim. Ed è una delle chiavi inserite dal regista Bong Joon-ho per interpretare il film, che è una commedia che si traforma in dramma solo nell’ultima mezz’ora.

E’ una metafora la pioggia che sommerge i poveri Kim e diventa una simpatica avventura per i ricchi Park.

E’ una metafora il bunker della casa Park, rifugio dei parassiti, e dei parassiti dei parassiti.

Sono metafore della distinzione tra ricchi e poveri, come innanzitutto le  case dove vivono le due famiglie protagoniste del film, entrambe classiche “famiglie nucleari” (padre, madre e due figli: un maschio e una femmina).

Quella dei Park è una villa costruita da un famoso architetto, con un gigantesco soggiorno e le stanze da letto al piano di sopra. Un finestrone enorme si apre sul bel giardino, di giorno battuto da un sole rigenerante.

Quella dei Kim è uno squallido seminterrato. Dalla finestrella del “soggiorno” la famiglia seduta per cena assiste allo spettacolo quotidiano di ubriachi che urinano. Da quella del bagnetto, accanto a una tazza su un gradino, chinati i ragazzi riescono miracolosamente a connettersi a un wifi aperto.

Parassiti

Chi di noi non ha mai “parassitato” un wifi aperto da un vicino, un bar, un albergo? La famiglia Kim non si limita a quello, ma grazie al “piano” di Ki-woo, si introduce nella casa dei ricchi Park e tenta così la scalata sociale.

Ma come gli scarafaggi, parassiti dei seminterrati, anche loro fuggiranno quando qualcuno accenderà la luce sulle loro truffe?

Il miglior piano è non fare i piani

Lo sostiene il papà di Ki-woo, Ki-taek, quando tutto appare perduto. Ma il figlio non si arrende, e continuerà a pianificare truffe: le uniche che possono sovvertire l’ingiustizia sociale.

Io qui che ci sto a fare?

Ki-woo lo dice, a un certo punto, quando vede il giardino di casa Park assolato e pieno di famiglie eleganti e sorridenti, mentre lui e la sua famiglia sono venuti da una palestra per alluvionati.

Non è possibile la contaminazione tra ricchi e poveri, come pure aveva ipotizzato il protagonista, quando vagheggiava di sposare la figlia dei Park: Da-hye. L’unica soluzione è la sostituzione.

 

Il limite da non passare

E’ infatti possibile la convivenza tra ricchi e poveri, finché non si “sorpassa il limite”. Lo chiarisce il manager, il signor Park. E questo limite significa – ad esempio – non fare sesso sul sedile della macchina del padrone. Anche se quei limiti violati dai sottoposti sono fonte di grande eccitazione per i ricchi, che fantasticano di degradarsi mentre si masturbano a vicenda – indossando identici pigiami di seta – sul divano del soggiorno. Tra i due coniugi c’è amore? Chiamiamolo pure così, anche se loro stessi sanno che l’amore è un’altra cosa.

La puzza

Ma il vero limite lo supera costantemente la puzza: quella che emanano i Kim, come per primo nota il “genietto” della famiglia Park, il piccolo Da-song (che nel doppiaggio italiano è pronunciato come il canale tv che trasmette le partite in streaming). E’ odore di stracci sporchi, di muffa da seminterrato. E’ la puzza da povero, da parassita, che emana anche Geun-se, che da più di 4 anni vive in un bunker.

Il bunker

La metafora dei piani della casa mi ha ricordato il racconto Numero 11 di Jonathan Coe, dove la magione signorile arriva a scavare fino a – appunto – 11 piani sotterranei, fino al centro della terra, da dove escono mostri.

I fantasmi

Per la famiglia Park, abituata al lusso e alla vita facile, il trauma nascosto del bambino è l’incontro, nel giorno del suo compleanno, con un fantasma, che è – effettivamente – lo spettro della povertà.

La solidarietà

La solidarietà non è di classe, è familiare. Se c’è un’ovvia e alla fine irredimibile contrapposizione tra le due famiglie, con tentativi di reciproca comprensione che verrano frustrati, d’altra parte il povero che riesce a farcela non si allea con il povero che è tornato reietto.

La “lotta tra poveri” è all’ordine del giorno. Del resto che mondo è quello in cui per un posto da vigilante ci sono migliaia di domande? La famiglia Kim, dall’inizio, sgomita infamando altri poveracci come loro, come il ragazzo delle pizze che lavora part time, per il quale non esita ad invocare il licenziamento.

“Io non sto male” risponde la neo-assunta Chung-sook alla richiesta di solidarietà tra poveri di Gook Moon-gwang, l’ex domestica cacciata con ignominia e sostituita da “mamma Kim”, Chung-sook, a forza anche di calci e botte.

E il marito Geun-se proverà con tutte le forze di usare la sua violenza contro la famiglia Kim, mai contro i padroni. Anzi non si stanca di ringraziare in preghiera il signor Park e cerca di fare la spia con segnali morse.

L’unico briciolo di “lotta di classe” si intravede nel gesto finale di papà Kim nel giardino, quando difende, passando alle vie di fatto, la memoria di Geun-se.

La violenza

Nemmeno la violenza, forse rappresentata metaforicamente dalla pietra che la famiglia ricca di Min-hyuk, amico di Ki-woo, regala alla famiglia Kim, risolve le cose. Perché la società coreana, come tutte le nostre società, vive di conflitti. E i conflitti sopravvivono, perché sono insiti alla vita sociale.

Del resto se una genia della grafica digitale come Kim Ki-jung è disoccupata e Ki-woo non può fare l’università nonostante abbia un’ottima conoscenza dell’inglese, occorre continuare a lottare. Chissà quale sarà il nuovo piano che ha in mente Ki-woo per sovvertire l’ordine e riportare giustizia.

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